TUTTE LE
RELIGIONI UGUALI DI FRONTE ALLA LEGGE?
 
IL CROCIFISSO
SI'
LA MENORAH EBRAICA NO
Le massime Istituzioni dello Stato italiano,
governo e magistratura, infrangono la Costituzione.
Martedì 30 gennaio 2007 alle ore 9:00 al Tribunale dell’Aquila si terrà
dinanzi al GUP l’udienza preliminare a carico del magistrato Luigi Tosti
IMPUTATO
di omissioni di atti di ufficio per essersi rifiutato di tenere le
udienze a causa di mancata autorizzazione ad esporre la MENORA’ EBRAICA
a fianco del CROCIFISSO.
Ecco uno stralcio dalla memoria difensiva scritta dal giudice Luigi
Tosti e inoltrata al GUP:
“Ribadisco che non accetterei l'imposizione della croce uncinata
nazista da parte dello Stato -e questo perché ripudio ed aborro i
crimini compiuti dai cristiani nazisti- e che quindi -e a maggior
ragione- non accetto l'imposizione del crocifisso.
E questo non solo perché si tratta di un simbolo che evoca in modo
macabro e orrifico un messaggio immorale, diseducativo e
psicologicamente deleterio, cioè un assassinio perpetrato da un Padre
per assurde e inconcepibili finalità di "redenzione" di terzi
"colpevoli", cioè dell'Umanità "peccatrice", ma anche per le
intollerabili e ingiustificabili implicazioni di genocidi, di assassini,
di torture, di criminale inquisizione, di criminali crociate, di
razzismo, di roghi contro eretici e streghe, di schiavismo, di
superstizione, di persecuzione razziale, di shoà, di rapimenti di
bambini ebrei, di disprezzo delle donne e degli omosessuali, di
intolleranza, di oscurantismo, di violazione e prevaricazione dei
diritti umani alla libertà di opinione, pensiero e religione, di
omertosa copertura dei preti pedofili, di truffe, di abuso della
credulità popolare, di mercimonio di indulgenze, di bolle di componenda,
di illeciti finanziari e via dicendo, crimini di cui la storia
millenaria del crocifisso è irrimediabilmente intrisa.
Mi piace ricordare che la prima "gloriosa" comparsa del crocifisso negli
"uffici giudiziari" risale ai Tribunali della "Santa" Inquisizione,
quando si torturavano, si sbudellavano e si squartavano eretici,
streghe, atei, omosessuali ed altri poveri disgraziati sotto la sua
lugubre incombenza.
Essendo poi dotato di fondamenti etici e civili informati alla
condivisione e all'osservanza dei fondamentali precetti del codice
penale, della Costituzione italiana, delle Convenzioni internazionali
sui diritti dell'Uomo e delle Convenzioni internazionali contro ogni
forma di discriminazione, non intendo minimamente identificarmi in un
Dio biblico assassino, terrorista, genocida, intollerante, stupratore,
infanticida, schiavista, dispregiatore delle donne e degli omosessuali,
razzista e a tal punto borioso e criminale da pretendere di essere
venerato dagli uomini con sacrifici umani ed animali. La mia "debole"
morale mi impedisce tutto ciò, anche se, ovviamente, non ho il minimo
"astio" o disprezzo nei confronti di Dio, la cui unica colpa è quella di
essere stato creato dagli uomini a loro immagine e somiglianza e,
quindi, con le loro debolezze e con le loro inclinazioni criminali.
Ritengo proprio che non ci sia alcun bisogno di andare ad Auschwitz per
chiedere teatralmente a Dio "dove stesse" quando gli ebrei e i rom
venivano sterminati nelle camere a gas e inceneriti nei forni crematori:
chi non è ipocrita e non si è bevuto il cervello sa perfettamente che
Dio stava dentro le menti criminali dei nazisti cristiani (e non
islamici) che perpetrarono la shoà con la connivenza dell'assordante
silenzio della Chiesa Cattolica e di Pio XII.
Se qualcuno si vuole ancora identificare in quel simbolo e intende
ancora glorificarsi nell' "Amore" del supposto unico Dio, lo faccia
pure: ma lo faccia a causa sua, sulla sua persona, nei suoi templi, nei
Tribunali dell'Inquisizione e in quelli della Sacra Rota, ma non lo
imponga a me che, proprio "grazie ai Dio", mi identifico in valori
morali e civili diametralmente opposti. Su questi punti intendo tornare
in prossimo futuro con argomentazioni più diffuse, non intendendo
minimamente tollerare che la verità della storia e la verità delle
cosiddette "Sacre Scritture", cioè delle scritture che la Chiesa
asserisce dettate da Dio in persona, possano essere mistificate -anche
in provvedimenti giurisdizionali- sino al punto di attribuire a questo
simbolo e a questo Dio valenze di tolleranza, di amore, di eguaglianza,
di rispetto reciproco e di rispetto dei diritti umani che gli sono del
tutto aliene: oltre al Re, anche Dio è nudo”.
Luigi Tosti
Questo è lo stralcio significativo del testo della memoria difensiva che
il giudice Luigi Tosti ha inoltrato al GUP (giudice dell'udienza
preliminare) dell'Aquila per l'udienza di martedì 30 gennaio 2007, con
la quale il giudice Tosti preannuncia che si rifiuterà di presenziare se
il Ministro di Giustizia non avrà per quella data disposto la rimozione
dei Crocifissi da tutte le aule giudiziarie italiane. Dal momento che
Mastella ha promosso ulteriore procedimento disciplinare per avergli
preannunciato questo rifiuto, il giudice Tosti ha inoltrato questa
memoria anche al ministro ed al Sostituto procuratore generale della
Cassazione che istruisce questo procedimento, accompagnando la memoria
con lettera qui allegata.
Lettera inviata a Clemente Mastella e Vittorio Martusciello
Al Ministro di Giustizia
On.le MASTELLA Clemente
Via Arenula 70
00186 Roma
Al Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione
Dott. MARTUSCIELLO Vittorio
Piazza Cavour
00193 Roma
Oggetto: procedimento disciplinare n. 14.753/37/06 SD4A contro Tosti
Luigi fu giudice presso il Tribunale di Camerino, in atto sospeso.
Allego alla presente, quale scritto defensionale relativo all'oggetto,
la memoria che ho inoltrato al GUP del Tribunale aquilano, caldeggiando
il promovimento di altro procedimento disciplinare per aver io osato
ribadire e reiterare per ben due volte nell'ambito del mio diritto di
difesa che "nella mia veste di imputato mi rifiuto di farmi processare
da giudici partigiani che si identificano platealmente nei crocifissi
cattolici appesi sopra la loro testa, e non nei simboli neutrali
dell'unità nazionale che, guarda caso, sono accuratamente estromessi
dalle aule giudiziarie italiane: tanto più in processi nei quali questi
giudici di parte cattolica -che cioè accettano di far parte di
un'Amministrazione connotata di cristianità- sono chiamati ad esprimere
un giudizio di colpevolezza o di innocenza in relazione ad un mio
comportamento che è diametralmente opposto, cioè di rifiuto radicale di
giudicare in nome di quel "loro" idolo".
Mi auspico anche che da questa mia memoria si tragga, attraverso la
sapiente e pluricollaudata opera di estrapolazione di frasi e censura
del pensiero, lo spunto per il promovimento di ennesimi procedimenti
disciplinari e, perché no, penali (suggerisco: vilipendio della
religione cattolica) e che gli stessi poi, dopo la "riservata"
propalazione da parte dei mass media, "riservatamente" imbeccati dall'On.le
Francesco Storace, "riservatamente" informato dall'On.le Ministro
Clemente Mastella, mi siano comunicati "in via strettamente riservata"
dal Presidente della Corte di Appello dorica, dopo mia "riservata"
convocazione in quel di Ancona.
Capisco che le verità scomode siano sempre risultate di scarso
gradimento per la Chiesa Cattolica, che le ha "giustamente" soffocate
con i criminali roghi inflitti dai criminali tribunali
dell'Inquisizione: presumo, però, che sarà molto difficile che io
accetti di subire, attraverso persecutori procedimenti disciplinari
compulsati dal Ministro della Giustizia cattolico, l'imposizione della
"mordacchia" con la quale Giordano Bruno è stato da Voi cristiani arso
sul rogo. Ribadisco che se qualcuno pensa di piegarmi e stroncarmi con
persecuzioni attuate col classico coraggio del branco, questo qualcuno
ha fatto male i calcoli.
A questa mia lettera seguiranno denunce penali ed ulteriori memorie, di
cui "riservatamente" curerò la massima pubblica diffusione, ovviamente
compatibile col regime di (dis)informazione pubblica, affinché la Corte
Europea dei Diritti dell'Uomo abbia il concreto riscontro del razzismo
religioso e della violazione dei più elementari diritti umani che lo
Stato Italiano, seguendo le direttive del Vaticano e della Chiesa,
pratica abitualmente.
Sperando di essere stato sufficientemente chiaro, invio i miei più
cordialissimi saluti ed auguri, reiterando al dott. Martusciello la
richiesta di mio immediato rinvio al giudizio della Sezione disciplinare
del CSM.
Luigi Tosti
tosti.luigi@alice.it
Conflitto di attribuzione
R.G. GIP Trib. Aquila nn. 1970,
1971, 1972, 1973, 1974, 1975,
1976 del 2006
TRIBUNALE PENALE DELL'AQUILA
Al Giudice dell'udienza preliminare
Memoria per l'imputato Tosti Luigi ex art. 121 c.p.p. per l'udienza
camerale del 30 gennaio 2007
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Le sei imputazioni che il P.M. - anche in seguito a mie autodenunce - mi
ha mosso, costituiscono la continuazione di comportamenti per i quali
sono già stato processato e condannato dal Tribunale dell'Aquila con
sentenza del 18.11.2005, avverso la quale ho interposto appello: ritengo
pertanto che sia sufficiente richiamare le motivazioni esposte nell'atto
di appello, che allego alla presente memoria ed al cui contenuto
difensivo faccio esplicito riferimento (doc. 1).
In ogni caso i fatti, ridotti alla loro sintesi più essenziale, sono
questi.
FATTO
Nell'ottobre del 2003 un paio di avvocati si lamentano con me
dell'improvvisa comparsa, nell'aula dove stavo tenendo le udienze
civili, di un vistoso crocifisso che, a loro giudizio, è stato apposto
per reazione contro il provvedimento col quale il giudice dell'Aquila
dott. Mario Montanaro, alcuni giorni prima, aveva ordinato la rimozione
dei crocifissi dalle scuole di Ofena. Tenuto conto delle deliranti
reazioni che l'ordinanza del dott. Montanaro aveva effettivamente
innescato, anche ad alti livelli istituzionali, condivido appieno queste
lamentele e, pertanto, stacco dalla parete il crocifisso e lo adagio sul
carrello dei fascicoli.
Apriti cielo: il Ministro di Giustizia, appresa la notizia, dispone
un'ispezione per valutare se sussistono gli estremi per trasferirmi
d'ufficio da Camerino e per promuovere un'azione disciplinare. Sono
costretto a recarmi a Roma, dove vengo messo sotto torchio da un
ispettore ministeriale che mi inquisisce per conoscere i minimi
particolari relativi al distacco "sacrilego" del crocifisso dalla
parete. Mi si chiede persino di dichiarare quale sia il mio credo
religioso.
A questa ispezione intimidatoria rispondo con una lettera con la quale
chiedo al Ministro di rimuovere tutti i crocifissi dai tribunali, perché
la circolare fascista che li contempla è incompatibile col principio di
laicità della Costituzione repubblicana e lede miei diritti soggettivi
di rango costituzionale (in particolare: diritto alla non
discriminazione religiosa e diritto alla libertà religiosa) come sancito
esplicitamente dalla Cassazione penale nella sentenza 1.3.2000 n. 4273,
Montagnana).
Nessuna risposta da parte del Ministro.
Propongo allora nell'aprile 2004 ricorso al TAR delle Marche.
L'Avvocatura di Stato resiste nel giudizio amministrativo affermando che
la circolare del Ministro fascista del 1926 non è stata abrogata in modo
esplicito e che, per altro verso, l'ostensione dei crocifissi nelle aule
giudiziarie è un atto di "professione di fede" da parte dello Stato
italiano ("laico"!!!!), come tale del tutto legittimo ai sensi dell'art.
19 della Costituzione.
Propongo istanza cautelare per la rimozione in via di urgenza dei
crocefissi, rappresentando in modo esplicito che solo per senso civico
mi sono sino ad allora astenuto dal rifiutarmi di tenere le udienze per
evitare di violare il mio dovere costituzionale di imparzialità (art.
111 Cost.) e per tutelare i miei diritti costituzionali all'eguaglianza
ed alla libertà religiosa (in ciò si risolve, in effetti, la cd.
"libertà di coscienza"): l'istanza viene respinta dal TAR senza
motivazione, cioè con l'apodittica affermazione che "non vi è
pregiudizio nel ritardo". Sempre per senso civico rinuncio a fare quello
che avrei, secondo la Cassazione, diritto di fare, cioè astenermi dalle
udienze per libertà di coscienza legata all'imposizione obbligatoria del
crocifisso, simbolo nel quale non mi identifico minimamente.
Nel frattempo inizio ad acquisire, attraverso la lettura di testi che mi
vengono segnalati o addirittura regalati ed attraverso la visita di siti
internet, notizie orripilanti sugli orrendi crimini di cui la Chiesa
cattolica si è macchiata durante la sua nefasta storia plurimillenaria:
notizie che io, come la maggior parte degli italiani, ignoro, perché
sapientemente occultate dal regime di (dis)informazione pubblica.
In ogni caso, dal momento che l'osservanza del principio di laicità
implica o che i crocifissi vengano rimossi, per ristabilire la
neutralità dello Stato nei confronti di tutte le confessioni, o che
debba essere necessariamente riconosciuto a tutti i credenti il diritto
di esporre i propri simboli religiosi, per garantire l'eguaglianza ex
art. 3 della Costituzione, avanzo al Ministro di Giustizia la richiesta
di esporre la menorà ebraica, simbolo della religione alla quale ho
ufficialmente aderito ai sensi dell'art. 4 della legge n. 101/1989.
Come di consueto non interviene alcuna risposta da parte del Ministro di
Giustizia.
"In compenso", però, iniziano a pervenirmi, da parte di anonimi
cittadini cattolici, lettere di stampo razzistico/religioso che "mi
spiegano" "perché" la menorà è "indegna" di essere esposta a fianco del
crocifisso. In particolare il 12.4.2005 mi perviene una lettera di un
anonimo razzista cattolico, indirizzata anche al Ministro di Giustizia
On.le Castelli e al Presidente del Tribunale, con la quale questo
individuo afferma che "affiancare al Cristo in croce altri simboli o il
simbolo di coloro che ne sono divenuti carnefici è un sacrilegio che
offende Gesù Cristo e la Verità della storia, esaltando un popolo che si
è comunque macchiato di un orrendo delitto contro Dio". Questo cattolico
bolla la mia pretesa di esporre la menorà come "oltraggiosa per la
Giustizia italiana" e chiede al Ministro di Giustizia "come la mia
iniziativa possa essere da lui tollerata".
Alcuni giorni dopo, per la precisione il 3.5.2005, inoltro al Ministro
di Giustizia un "ultimatum" col quale chiedo, in via principale, di
rimuovere i crocifissi o, in subordine, di autorizzarmi ad esporre la
mia menorà a fianco del crocifisso cattolico. Preannuncio che mi asterrò
dal tenere le udienze a partire dal 9.5.2005, se verrà respinta anche la
richiesta di esporre la menorà: e questo, sia per legittima reazione
contro gli atti di discriminazione religiosa compiuti dallo Stato
italiano ai miei danni, sia per "libertà di coscienza", cioè per non
violare il mio dovere costituzionale di imparzialità (art. 111) e per
tutelare i miei diritti costituzionali all' eguaglianza religiosa (art.
3) ed alla libertà religiosa (art. 19).
Invito dunque il Presidente del Tribunale a provvedere alla mia
eventuale sostituzione, dal 9 maggio in poi, per garantire la
prosecuzione del servizio.
Alla mia richiesta segue, come di consuetudine, il totale silenzio da
parte del Ministro, sicché dal 9 maggio inizio a rifiutarmi di tenere le
udienze, seguitando ad esercitare tutte le altre incombenze (GIP,
provvedimenti cautelari, decreti ingiuntivi, giudice tutelare etc.).
A questo punto mi viene rivolto l'invito di tenere le udienze nel mio
studio o in altra aula senza crocifisso: respingo questa proposta
evidenziandone non solo l'estrema contraddittorietà (se la presenza del
crocifisso, infatti, è legittimamente imposta dalla circolare
ministeriale, né il Presidente del Tribunale né il Presidente della
Corte d'Appello possono violarla), ma anche le connotazioni di
segregazione e di discriminazione religiosa, che ledono la mia dignità
di essere umano.
Nonostante ciò, si torna alla carica con una "proposta" ancora più
discriminatoria, più offensiva e più contraddittoria: cioè quella di
riprendere le udienze in un' "aula-ghetto", appositamente allestita per
me senza crocifisso. Tale proposta mi viene comunicata con nota del
Presidente del Tribunale datata 19.7.2005, nella quale si afferma che
"la nuova aula di udienza sarà a disposizione di tutti i magistrati del
Tribunale di Camerino, e quindi non si potrà assolutamente dire che essa
rappresenti una forma di discriminazione o di "ghettizzazione" nei miei
confronti".
Respingo questa offensiva proposta con lettera del 7.8.2005 (doc. n. 2)
rimarcando anche la capziosità di questa argomentazione. Sottolineo, in
particolare, che la circostanza che i giudici "cattolici" del Tribunale
di Camerino possano frequentare, oltre alle aule "ufficiali" destinate
alla loro "superiore religione", anche l'aula-ghetto in allestimento per
il giudice ebreo, non è un argomento valido per escluderne le
connotazioni discriminatorie e ghettizzanti. Ricordo, a tal proposito,
che anche i cattolici, "inventori" sin dal 1215 d.C. dei "ghetti" nei
quali furono confinati gli ebrei, ed anche i cristiani-nazisti,
"inventori" dei lager nei quali trucidarono gli ebrei, ebbero anch' essi
la "facoltà di frequentare" tali "luoghi" di "segregazione criminale":
non per questo, però, qualcuno avrebbe potuto escludere che i ghetti e i
lager siano stati luoghi di criminale segregazione.
Comunque, per tagliare la testa al toro ed avere l'immediato e concreto
riscontro della sincerità della proposta che mi veniva propinata come
"non ghettizzante", propongo di scambiare la "fetta di torta" che
l'Amministrazione Cattolica mi offre con quella che essa si riserva,
cioè dichiaro la mia assoluta disponibilità a riprendere immediatamente
la trattazione delle udienze, purché l'Amministrazione provveda a
sostituire gli attuali crocifissi con altrettante menorà ebraiche nelle
aule "ufficiali" ed escluda qualsiasi addobbo religioso nella "nuova"
aula, nella quale, dunque, avrebbero potuto operare "anche" i giudici
cattolici, oltre al giudice "ebreo".
Questo "scambio delle fette di torta", guarda caso, non viene accettato,
sicché ricevo la immediata e concreta dimostrazione di quanto fossero
falsi, capziosi e ghettizzanti gli intenti che l'Amministrazione della
Giustizia voleva perseguire.
Dopo un po' la Procura dell'Aquila apre due procedimenti penali per
omissione di atti di ufficio, per "essermi astenuto dal tenere le
udienze, indebitamente motivandola espressamente per la presenza in aula
del crocifisso".
Faccio immediatamente notare al P.M. aquilano che il capo di imputazione
contiene una lacuna a dir poco gigantesca, perché si è omesso di
considerare che il mio rifiuto scaturisce, innanzitutto, dal fatto che
lo Stato mi impedisce di esporre la menorà ebraica, mentre consente
l'ingresso nelle aule pubbliche ai crocifissi: rappresento che questo
comportamento discriminatorio non soltanto viola l'art. 3 della
Costituzione e gli artt. 9 e 14 della Convenzione sui diritti dell'Uomo,
ma integra anche il reato di cui all'art. 3 della legge 13.10.1975, a
mente del quale è punito con la reclusione sino a tre anni "chi commette
atti di discriminazione per motivi...religiosi". Concludo, pertanto,
evidenziando che il mio rifiuto è, innanzitutto, una reazione legittima
contro atti di delittuosa discriminazione religiosa, sicché ritengo a
dir poco grottesco che, anziché indagare sul conto dell'aguzzino che
tenta di infilare l'ebreo nel forno crematorio -cioè di Organi
istituzionali dello Stato- si indaghi sul conto dell'ebreo che si
rifiuta di entrarvi.
Chiedo pertanto al P.M. aquilano di integrare il capo di imputazione,
facendo risultare la verità, e cioè che il mio rifiuto di tenere le
udienze scaturisce, in prima battuta, dall'imposizione del divieto di
esporre la mia menorà ebraica a fianco del crocifisso.
La richiesta viene immotivatamente disattesa e il P.M. chiede ed ottiene
il rinvio a giudizio immediato dinanzi al Tribunale per il 18.11.2005.
In questa sede dichiaro di rifiutarmi di presenziare al dibattimento per
libertà di coscienza legata alla presenza obbligatoria dei crocifissi
nelle aule giudiziarie italiane e chiedo, pertanto, che il Tribunale
sollevi un conflitto di attribuzione nei confronti del Ministro di
Giustizia: il Tribunale disattende la mia richiesta perchè "superata"
dal fatto che sono...... presente in aula!! Mi allontano allora
immediatamente dall'aula e il Tribunale, all'esito del dibattimento,
pronuncia condanna a sette mesi di reclusione, nei confronti della quale
ho proposto appello.
Ciò premesso in fatto, sollevo le seguenti due questioni preliminari.
PRIMA QUESTIONE
Ribadisco, per l'ennesima volta, la richiesta di integrazione e/o
correzione dei capi di imputazione che mi vengono mossi, dal momento che
è stata deliberatamente omessa la circostanza che io mi sono rifiutato
di tenere le udienze anche per legittima difesa contro atti di criminale
discriminazione religiosa perpetrati ai miei danni dal Ministro di
Giustizia. Questi, infatti, da un lato mi ha imposto i crocifissi
cattolici e, dall'altro, si è rifiutato, per bieche motivazioni di
discriminazione religiosa, di farmi esporre la menorà ebraica a fianco
del crocifisso.
Rammento ancora -semmai non fossi stato sufficientemente chiaro- che un
anonimo criminale, appartenente a setta cattolica, ha indirizzato al
Ministro di Giustizia ed al Presidente del Tribunale di Camerino una
lettera con la quale ha affermato che "affiancare al Cristo in croce
altri simboli o il simbolo di coloro che ne sono divenuti carnefici è un
sacrilegio che offende Gesù Cristo e la Verità della storia, esaltando
un popolo che si è comunque macchiato di un orrendo delitto contro Dio".
Rammento ancora che questa anonima "istigazione" criminale è stata
condivisa dall'Amministrazione Giudiziaria Italiana che, anzi, se ne è
fatta strenua "paladina". Evidenzio, infatti, che la mia richiesta di
esporre la menorà a fianco del crocifisso non solo è stata disattesa ma,
dopo che mi sono rifiutato di tenere le udienze a causa di questa
criminale discriminazione, l'Amministrazione Giudiziaria ha addirittura
allestito un'aula-ghetto, senza crocefisso, nella quale mi si è fatto
assoluto divieto di esporre la menorà: il che implica che
l'Amministrazione Giudiziaria ha condiviso la lettera razzista
dell'ignoto cattolico, al punto tale da ritenere che il simbolo degli
ebrei sia da considerare "sacrilego" e "blasfemo" e, quindi, "indegno"
di essere ostentato nelle aule dei tribunali italiani.
Alla luce di queste considerazioni chiedo formalmente che l'imputazione
che mi è stata mossa dal P.M. venga integrata, aggiungendo alle parole
"indebitamente motivandola espressamente per la presenza in aula del
crocifisso" le parole: "o, in subordine, per il mancato rilascio
dell'autorizzazione ad esporre a propria volta la menorà, simbolo della
religione ebraica cui aveva aderito ai sensi della legge n. 101/1989".
Questa integrazione non è di poco conto, perché imporrà molti
interrogativi e molte risposte da parte degli Organi Istituzionali
cattolici di questa Repubblica e da parte di chi mi deve giudicare.
In particolare chiedo: che cosa avete contro gli ebrei? Che cosa avete,
voi Cattolici, contro la menorà ebraica? La sua visione, forse, turba la
vostra sensibilità? Per quale motivo voi Cattolici mi avete impedito di
esporre la mia menorà a fianco del vostro Crocifisso? Eppure vi avevo
esplicitamente avvisato che la "mia" menorà non era razzista e, quindi,
non aveva alcun problema a stare a fianco del vostro augusto Crocifisso.
E allora? Perché mi avete impedito di esporre nelle aule la menorà
ebraica? Eppure vi ho informato che questa banale autorizzazione sarebbe
stata di per sé sufficiente a consentirmi di seguitare a tenere le
udienze nelle aule giudiziarie. E allora, qual'era -e qual'è- il vostro
problema, non il mio? Forse la visione della menorah vi crea nausea e
disgusto insopportabili, come la visione della pelle nera li crea ai
razzisti? Forse la presenza in aula del crocifisso è "innocua", come
qualche luminare del diritto sostiene, e la presenza della menorà
ebraica, invece, crea turbamenti agli avventori cattolici? Ma non vi
vergognate del vostro RAZZISMO? Perché avete innescato la mia reazione
legittima, cioè il rifiuto di tenere le udienze nelle aule dove mi
veniva vietato di esporre il mio simbolo religioso e dove invece veniva
consentito il libero accesso al vostro simbolo? Eppure sarebbe stato
sufficiente autorizzarmi l'esposizione della menorà: sarebbero state
così evitate ai "cittadini che chiedono giustizia" quelle conseguenze
negative che oggi, assurdamente, tentate di addebitare al mio
comportamento.
Eppure l'art. 3 della Costituzione dice che "tutti i cittadini -quindi
anche gli ebrei- "hanno pari dignità e sono uguali dinanzi alla legge,
senza distinzione di religione". Eppure l'art. 8 della Costituzione dice
che "tutte le confessioni religiose -e quindi anche l'ebraismo- sono
egualmente libere davanti alla legge". Eppure l'art. 19 della
Costituzione dice che "tutti -e quindi anche gli ebrei- hanno il diritto
di professare liberamente la propria fede religiosa, di farne propaganda
e di esercitarne il culto anche in pubblico". Eppure l'art. 9 della
Convenzione internazionale sui diritti dell'Uomo dice che "ogni persona
-e quindi anche l'ebreo- ha diritto alla libertà di pensiero, di
coscienza e di religione; questo diritto importa la libertà di cambiare
religione o di pensiero, come anche la libertà di manifestare la propria
religione o il proprio pensiero individualmente o collettivamente, in
pubblico o in privato, per mezzo del culto, dell'insegnamento, di
pratiche e di compimento di riti ". Eppure l'art. 14 della medesima
convenzione ("Divieto di discriminazione") dice che "il godimento dei
diritti civili e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione
deve essere garantito a tutti, quindi anche agli ebrei, senza alcuna
distinzione, fondata soprattutto sul sesso, la razza, il colore, la
lingua, la religione, le opinioni politiche o altre opinioni, l'origine
nazionale o sociale, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, sui beni
di fortuna, nascita o ogni altra condizione"
E allora? Forse la richiesta di un ebreo di esporre la propria menorà
nei luoghi dove lo Stato consente ai cattolici di esporre i loro
crocefissi e, quindi, di avere gli stessi diritti e la stessa dignità
della Superiore Razza Cattolica, può essere qualificata -come è stata di
fatto qualificata dal Tribunale dell'Aquila, prima, e dalla Procura
Generale presso la Corte di Cassazione- una...........pretesa
"PRETESTUOSA"?
E' dunque "pretestuoso", per i Cattolici, che un ebreo "pretenda" di
essere "uguale" a loro?
Complimenti!!!!! Soprattutto complimenti al RAZZISMO !!!!!!!!!!
E non è un caso -ma si tratta al contrario della concreta attuazione
degli opposti principi costituzionali ed internazionali di eguaglianza e
non discriminazione religiosa- che l'art. 58 del regolamento
penitenziario (D.P.R. 30.6.2000 n. 230) accordi a tutti i detenuti -e
quindi anche agli ebrei- il sacrosanto diritto di esporre, nella propria
camera o nel proprio spazio di appartenenza, immagini e simboli della
propria confessione religiosa, evitando così qualsiasi possibile
discriminazione tra i credenti o assurdi "privilegi" a favore dei
cattolici. E allora vi chiedo: forse voi cattolici pensate, col vostro
sarcasmo di razza superiore, che, "grazie" alla condanna a 7 mesi
inflittami dal Tribunale dell'Aquila, questo giudice ebreo si vedrà
finalmente riconosciuto il diritto di esporre la sua menorà -se non
proprio in un'aula giudiziaria- almeno in un "altro" "ambiente
giudiziario", cioè nella cella? Siete proprio spiritosi.
E allora? Ripeto: cosa avete, voi cattolici, contro la menorà ebraica?
Forse condividete quello che sostengono l'Avvocato Generale dello Stato
e il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, che cioè la mia
pretesa di esporre la menorah degli ebrei "ha suscitato, per la sua
assoluta singolarità, sconcerto e disorientamento nella pubblica
opinione"?
Ma a quale "pubblica opinione" intendete riferirvi? A quella dei
"razzisti"? E' questo il modo di gestire la giustizia, cioè facendosi
paladini dei criminali razzisti e perseguendo penalmente e
disciplinarmente le loro vittime?
In attesa di avere risposte su questo punto - anche da parte della Corte
di Strasburgo - segnalo che l'On.le Maurizio Turco ha indirizzato nel
settembre scorso al Ministro di Giustizia Mastella l'interpellanza n.
130/2006 (doc. n. 3) con la quale gli ha tra l'altro chiesto di
"giustificare per quali validi motivi -che, secondo l'interrogante, non
siano quelli di discriminazione razziale, odio e disprezzo degli ebrei e
della religione ebraica- il Ministero interrogato ha negato al dott.
Tosti Luigi di esporre a fianco del crocifisso la menorah, usufruendo
così degli stessi diritti religiosi e della stessa dignità che
l'Amministrazione fascista Italiana accordò e che quella Repubblicana
seguita ad accordare ai cattolici". Segnalo anche che il Ministro
Mastella si è ben guardato -a tutt'oggi- dal rispondere.
Segnalo, infine, che il Consiglio Superiore della Magistratura, con
l'ordinanza n. 12/2006, depositata il 23.11.2006 (doc. n. 4), ha
glissato la questione relativa agli atti di discriminazione religiosa
affermando che la mia pretesa di esporre la menorà è "infondata" perché
"per poter assere accolta richiederebbe che il Legislatore compia scelte
discrezionali che allo stato non sono state compiute". Il che, tradotto
in termini più espliciti, significa che il Crocifisso della "Superiore
Razza Cattolica" può essere esposto negli uffici pubblici in base a
semplici "circolari", mentre i simboli dell'infima razza ebraica
necessitano, per poter essere esposti, di........ atti LEGISLATIVI del
Parlamento!!!
Attendo di verificare se questa "motivazione" verrà adottata da qualche
altro Organo dello Stato, magari dall'On.le Ministro di Giustizia in
risposta all'interpellanza dell'On.le Turco (sempre che risponda).
SECONDA QUESTIONE
Come seconda questione prospetto al GUP quello che ho già prospettato al
Ministro di Giustizia con la lettera del 5.9.2006 (doc. n. 5) laddove,
dopo averlo invitato per l'ennesima volta a rimuovere TUTTI i crocifissi
da TUTTE le aule giudiziarie, ho preannunciato che nella mia veste di
imputato mi rifiuto di farmi processare da giudici partigiani che si
identificano platealmente nei crocifissi cattolici appesi sopra la loro
testa, e non nei simboli neutrali dell'unità nazionale che, guarda caso,
sono accuratamente estromessi dalle aule giudiziarie italiane: tanto più
in processi nei quali questi giudici di parte cattolica -che cioè
accettano di far parte di un'Amministrazione connotata di cristianità-
sono chiamati ad esprimere un giudizio di colpevolezza o di innocenza in
relazione ad un mio comportamento che è diametralmente opposto, cioè di
rifiuto radicale di giudicare in nome di quel "loro" idolo.
Dal momento che il Ministro di Giustizia Clemente Mastella non ha
rimosso i crocifissi ma, sollecitato dall'On.le Francesco Storace, ha
addirittura tratto lo spunto da questa mia richiesta per promuovere
ennesimo procedimento disciplinare persecutorio, preannuncio al GUP che
mi rifiuterò di presenziare all'udienza preliminare del 30.1.2007 per
motivi di libertà di coscienza legati alla presenza obbligatoria dei
crocifissi nelle aule giudiziarie.
Questo rifiuto integrerà, a mio avviso, un legittimo impedimento a
presenziare di natura permanente: sarebbe difatti superfluo rinviare il
processo ad altra udienza, dal momento che il Ministro si ostina a non
rimuovere i crocifissi. Di qui scaturisce l'invito formale al Giudice di
sollevare un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale
o, in subordine, un'eccezione di incostituzionalità.
Queste le motivazioni: motivazioni che -ci tengo a sottolinearlo-
risultano pienamente condivise dal Consiglio Superiore della
Magistratura nell'ordinanza n. 12/2006, depositata il 23.11.2006 (doc.
n. 4).
Punto di partenza è la storica sentenza n. 439 del 1.3.2000 con la quale
la IV Sezione penale della Corte di Cassazione ha sentenziato
l'illiceità dell'ostensione dei crocifissi negli uffici pubblici perché,
in primis, viola il "principio supremo di laicità" che si sostanzia
-come costantemente affermato dalla Corte Costituzionale- nell'obbligo
dello Stato (e, quindi, dei suoi funzionari) di essere neutrale,
imparziale ed equidistante nei confronti di tutte le religioni e di
tutti i singoli cittadini, in relazione alla loro fede o credo.
"L'imparzialità della funzione del pubblico ufficiale -chiarisce infatti
la Corte- è strettamente correlata alla NEUTRALITÀ dei LUOGHI deputati
alla formazione del processo decisionale, che non sopporta ESCLUSIVISMI
e CONDIZIONAMENTI........indotti dal carattere evocativo, cioè
rappresentativo del contenuto di fede, che ogni immagine religiosa
simboleggia".
Trasponendo questo giudizio della Cassazione al caso che ci occupa, si
deve ineluttabilmente affermare che l'esposizione del crocifisso "sopra
il banco dei giudici" -imposto dal Ministro di Giustizia come "simbolo
venerato"e “solenne ammonimento di verità e giustizia"- pregiudica la
"neutralità" e l'"imparzialità" dei "luoghi deputati all'esercizio delle
funzioni giurisdizionali (cioè le aule di giustizia), che non può
sopportare esclusivismi e condizionamenti sia pure indirettamente
indotti dal carattere evocativo, cioè rappresentativo del contenuto di
fede, che ogni immagine religiosa simboleggia".
Si deve quindi affermare che l'ostensione del crocefisso nelle aule
giudiziarie confligge col principio di imparzialità della giurisdizione,
sancito dall'art. 111 della Costituzione, cioè con l'obbligo dei giudici
di giudicare i cittadini in modo visibilmente imparziale.
Ma è altrettanto ovvio che all' "obbligo" di "imparzialità" del giudice
debba corrispondere, dal lato attivo, il "diritto" del cittadino di
essere giudicato da un giudice "imparziale": di qui l'interesse
dell'imputato Tosti Luigi ad essere processato da un' Amministrazione
Giudiziaria che non sia composta da giudici partigiani che si
identificano platealmente nei crocifissi cattolici appesi sopra la loro
testa, e non nei simboli neutrali dell'unità nazionale che, guarda caso,
sono accuratamente estromessi dalle aule giudiziarie italiane: tanto più
in processi nei quali questi giudici di parte cattolica -che cioè
accettano di far parte di un'Amministrazione connotata di cristianità-
sono chiamati ad esprimere un giudizio di colpevolezza o di innocenza in
relazione ad un mio comportamento che è diametralmente opposto, cioè di
rifiuto radicale di giudicare in nome di quel "loro" idolo.
Ma non è tutto.
La Cassazione ha infatti stigmatizzato l'ostensione dei crocefissi anche
sotto il profilo della violazione del diritto all'eguaglianza: se,
infatti, il "principio supremo di laicità" si sostanzia nell' "obbligo"
di imparzialità, neutralità ed equidistanza" dello Stato nei confronti
delle confessioni religiose e dei cittadini, questi ultimi debbono
necessariamente ritenersi titolari del corrispondente "diritto" alla
"non discriminazione, cioè all' "eguaglianza".
E così, in effetti, si è espressa la Cassazione: "nel nostro ordinamento
la giustificazione indicata urta contro il chiaro divieto posto in
questa materia dall'art. 3 cost., come ha recentemente ricordato corte
cost. 14.11.1997, n. 329, laddove ha sottolineato che... il richiamo
alla cosiddetta coscienza sociale, se può valere come argomento di
apprezzamento delle scelte del legislatore sotto il profilo della loro
ragionevolezza, è viceversa vietato laddove la Costituzione, nell'art.
3, 1° comma, stabilisce espressamente il divieto di discipline
differenziate in base a determinati elementi distintivi, tra i quali sta
per l'appunto la religione". E, nella specie, si differenzia appunto in
base alla religione nel momento in cui si dispone l'esposizione del SOLO
crocifisso".
La presenza del SOLO crocifisso, quindi, lede necessariamente anche il
diritto di eguaglianza di tutti i cittadini che -come lo scrivente- non
si identificano in quel simbolo e che, dunque, vengono discriminati a
causa della mancata esposizione dei loro simboli.
Ma ancora non basta.
L'ostensione obbligatoria del crocifisso nelle aule viola, infatti,
anche il diritto alla libertà religiosa dei cittadini (art. 19),
soprattutto di quelli che non si identificano in quel simbolo e che sono
però costretti a subirne la presenza e l'imposizione allorquando debbono
frequentare gli uffici giudiziari allo scopo di esercitare il loro
diritto alla difesa.
Sulla base di queste lineari premesse giuridiche (pienamente condivise
dal CSM), mi vedo costretto a rivolgere al Giudice dell'Udienza
preliminare del Tribunale dell'Aquila una formale istanza affinché -ove
non ritenga di per sé già esaustivo il rifiuto oppostomi dal Ministro di
Giustizia Clemente Mastella- si attivi presso quest'ultimo per ottenere
la rimozione permanente dei crocifissi da tutte le aule giudiziarie
italiane ai fini del ristabilimento della LEGALITA', cioè affinché sia
preservato, durante l'intero corso del processo, il rispetto del mio
diritto di essere giudicato da un giudice "imparziale" (art. 111 Cost.),
il rispetto del mio diritto all' eguaglianza senza distinzione di
religione (art. 3) e il rispetto del mio diritto alla libertà religiosa
(art. 19).
Ribadisco, infatti, che:
1°). io reclamo innanzitutto la piena osservanza, nei miei confronti,
del principio supremo di laicità dello Stato e, quindi, dell'obbligo di
imparzialità dei Giudici (art. 111 Cost.) e, pertanto, rivendico il
diritto di essere giudicato da Giudici imparziali e non confessionali,
che cioè non si identifichino, a causa dell'esposizione dei crocifissi,
nella religione cattolica, tanto più in un processo che mi vede
incriminato per reati connessi all'imposizione coatta dei crocifissi nei
tribunali;
2°). io reclamo il pieno rispetto del mio diritto costituzionale di non
essere discriminato a causa del mio credo religioso (art. 3) e, quindi,
contesto che il Ministro di Giustizia possa impormi la presenza dei
crocifissi cattolici durante la celebrazione del processo, tanto più che
lo stesso Ministro vieta l'esposizione dei simboli delle altre religioni
e, in particolare, di quello ebraico;
3°). io reclamo, infine, il rispetto del mio diritto costituzionale alla
libertà religiosa (art. 19) e contesto, pertanto, che il Ministro di
Giustizia possa impormi, nelle aule giudiziarie che sono costretto a
frequentare per poter esercitare appieno il mio diritto costituzionale
alla difesa, la presenza dei crocifissi, simboli religiosi nei quali non
mi identifico e la cui presenza "istituzionalizzata", anzi, non tollero
a causa dei gravissimi crimini che sono stati perpetrati contro
l'umanità, in suo nome, dalla Chiesa Cattolica e dai cristiani in
millenni di storia nefasta.
Ribadisco che a casa mia non tengo alcun crocifisso e che detesto
qualsiasi forma di "idolatria".
Ribadisco che non mi sono mai permesso di imporre i miei simboli agli
altri e che pretendo, pertanto, di non subire l'imposizione del
crocifisso da parte dello Stato italiano.
Ribadisco che non accetterei l'imposizione della croce uncinata nazista
da parte dello Stato -e questo perché ripudio ed aborro i crimini
compiuti dai cristiani nazisti- e che quindi -e a maggior ragione- non
accetto l'imposizione del crocifisso.
E questo non solo perché si tratta di un simbolo che evoca in modo
macabro e orrifico un messaggio immorale, diseducativo e
psicologicamente deleterio, cioè un assassinio perpetrato da un Padre
per assurde e inconcepibili finalità di "redenzione" di terzi
"colpevoli", cioè dell'Umanità "peccatrice", ma anche per le
intollerabili e ingiustificabili implicazioni di genocidi, di assassini,
di torture, di criminale inquisizione, di criminali crociate, di
razzismo, di roghi contro eretici e streghe, di schiavismo, di
superstizione, di persecuzione razziale, di shoà, di rapimenti di
bambini ebrei, di disprezzo delle donne e degli omosessuali, di
intolleranza, di oscurantismo, di violazione e prevaricazione dei
diritti umani alla libertà di opinione, pensiero e religione, di
omertosa copertura dei preti pedofili, di truffe, di abuso della
credulità popolare, di mercimonio di indulgenze, di bolle di componenda,
di illeciti finanziari e via dicendo, crimini di cui la storia
millenaria del crocifisso è irrimediabilmente intrisa.
Mi piace a ricordare che la prima "gloriosa" comparsa del crocifisso
negli "uffici giudiziari" risale ai Tribunali della "Santa"
Inquisizione, quando si torturavano, si sbudellavano e si squartavano
eretici, streghe, atei, omosessuali ed altri poveri disgraziati sotto la
sua lugubre incombenza.
Essendo poi dotato di fondamenti etici e civili informati alla
condivisione e all'osservanza dei fondamentali precetti del codice
penale, della Costituzione italiana, delle Convenzioni internazionali
sui diritti dell'Uomo e delle Convenzioni internazionali contro ogni
forma di discriminazione, non intendo minimamente identificarmi in un
Dio biblico assassino, terrorista, genocida, intollerante, stupratore,
infanticida, schiavista, dispregiatore delle donne e degli omosessuali,
razzista e a tal punto borioso e criminale da pretendere di essere
venerato dagli uomini con sacrifici umani ed animali. La mia "debole"
morale mi impedisce tutto ciò, anche se, ovviamente, non ho il minimo
"astio" o disprezzo nei confronti di Dio, la cui unica colpa è quella di
essere stato creato dagli uomini a loro immagine e somiglianza e,
quindi, con le loro debolezze e con le loro inclinazioni criminali.
Ritengo proprio che non ci sia alcun bisogno di andare ad Auschwitz per
chiedere teatralmente a Dio "dove stesse" quando gli ebrei e i rom
venivano sterminati nelle camere a gas e inceneriti nei forni crematori:
chi non è ipocrita e non si è bevuto il cervello sa perfettamente che
Dio stava dentro le menti criminali dei nazisti cristiani (e non
islamici) che perpetrarono la shoà con la connivenza dell'assordante
silenzio della Chiesa Cattolica e di Pio XII.
Se qualcuno si vuole ancora identificare in quel simbolo e intende
ancora glorificarsi nell' "Amore" del supposto unico Dio, lo faccia
pure: ma lo faccia a causa sua, sulla sua persona, nei suoi templi, nei
Tribunali dell'Inquisizione e in quelli della Sacra Rota, ma non lo
imponga a me che, proprio "grazie ai Dio", mi identifico in valori
morali e civili diametralmente opposti. Su questi punti intendo tornare
in prossimo futuro con argomentazioni più diffuse, non intendendo
minimamente tollerare che la verità della storia e la verità delle
cosiddette "Sacre Scritture", cioè delle scritture che la Chiesa
asserisce dettate da Dio in persona, possano essere mistificate -anche
in provvedimenti giurisdizionali- sino al punto di attribuire a questo
simbolo e a questo Dio valenze di tolleranza, di amore, di eguaglianza,
di rispetto reciproco e di rispetto dei diritti umani che gli sono del
tutto aliene: oltre al Re, anche Dio è nudo.
E' appena il caso di sottolineare che non intendo affatto sottrarmi alla
celebrazione del processo penale con pretesti, ma esigo soltanto che
siano "corrette" le attuali "modalità attuative" del processo le quali,
per effetto dell'imposizione del crocifisso da parte del Ministro,
determinano la lesione dei diritti costituzionali sopra elencati.
Preannuncio che, nell'ipotesi che per l'udienza del 30 gennaio 2007 non
si sarà provveduto alla rimozione di tutti i crocifissi da tutte le aule
giudiziarie italiane, in ottemperanza alla pronuncia della Corte di
Cassazione 439/2000 e della stessa ordinanza del CSM, sarò costretto
-per evitare la lesione dei miei diritti costituzionali all'eguaglianza,
alla libertà religiosa e ad essere giudicato da giudici imparziali- a
rifiutarmi di presenziare alla celebrazione del processo.
A questo punto il GUP dovrà porsi il problema della rilevanza di questo
mio rifiuto.
Io ritengo -in ciò confortato dal CSM e dalla Cassazione- che esso
assuma rilievo fondamentale ai fini della stessa validità del processo,
dal momento che non si tratterà di una mia "libera scelta", bensì di un
"rifiuto a presenziare" imposto dalla necessità di evitare la lesione di
miei diritti costituzionali. Si tratta, in altri termini, di un'ipotesi
di "libertà di coscienza" del tutto analoga al rifiuto che fu opposto da
un testimone a cagione dei riferimenti a Dio contenuti nella formula del
giuramento ed al rifiuto che fu opposto da uno scrutatore di seggio a
causa della presenza dei crocifissi.
Ricordo che nel primo caso la Corte Costituzionale giustificò il rifiuto
del teste perché legittimato dalla "libertà di coscienza", cioè perché
ritenne che l'adempimento dell'obbligo impostogli dalla legge -che era
quello di prestare il giuramento prima della deposizione- avrebbe
determinato la lesione del suo diritto costituzionale di libertà
religiosa a causa dei riferimenti a Dio contenuti nella formula.
Ancora più stretta è l'analogia col caso deciso dalla Corte di
Cassazione nella citata sentenza 439/2000, laddove è stato assolto uno
scrutatore di seggio che si era rifiutato di adempiere al pubblico
ufficio perché il suo "rifiuto" era stato necessitato dall'esigenza di
non violare il suo obbligo, di rango costituzionale, di essere
imparziale e neutrale nei confronti dei cittadini amministrati.
Le analogie col rifiuto che sono costretto ad opporre, in caso di
mancata rimozione dei crocifissi, sono dunque a dir poco eclatanti:
anch'io, infatti, mi trovo nella necessità di rifiutarmi di presenziare
al dibattimento -così pregiudicando il mio diritto alla difesa- sia per
evitare di essere giudicato da un giudice che, a causa dell'
"esclusivismo" e del "condizionamento" indotti dal crocifisso, non è
"imparziale" (art. 111 Cost.), sia per evitare di subire una
discriminazione religiosa (art. 3) sia, infine, per evitare di subire la
lesione del mio diritto alla libertà religiosa (art. 19).
Ebbene, essendo fondato sull'esigenza di evitare la lesione di diritti
di rango costituzionale, il mio rifiuto integrerebbe -al di là di ogni
ragionevole dubbio- un'ipotesi di legittimo impedimento a comparire e/o
a presenziare ex art. 420 ter, quater e quinquies C.P.P. (si pensi al
caso, che ipotizzo a fini scolastici, che il Ministro disponga con altra
"circolare" che gli imputati debbano presenziare al processo seduti su
sedie elettriche: non sarebbe legittimo, in questo caso, il rifiuto
degli imputati a presenziare all'udienza, per preservare il loro diritto
all'integrità fisica?)
E' peraltro chiaro che un mero rinvio, disposto ex artt. 420 ter e segg.,
si rivelerebbe del tutto inconcludente, ove non fosse accompagnato dalla
richiesta di rimozione dei crocifissi da tutti gli uffici giudiziari,
che il Giudice dovrà indirizzare al Ministro di Giustizia affinché sia
ripristinata la legalità e sia consentita la celebrazione del processo
nel pieno rispetto del principio supremo di laicità e dei diritti
costituzionali dell'imputato.
E' sicuramente da escludere, in ogni caso, che il Giudice possa
disapplicare la circolare del Ministro fascista Rocco o sollevare una
questione di incostituzionalità della stessa: la rimozione dei
crocifissi, infatti, rientra nella competenza esclusiva del Ministro (in
questi precisissimi termini si è già espressa la Cassazione
nell'ordinanza n. 41.571 del 18.11.2005, imputato Adel Smith).
Nell'ipotesi -assai improbabile- che il Ministro ottemperi alla
richiesta, sarà eliminato qualsiasi ostacolo alla prosecuzione
dibattimentale del giudizio.
In caso contrario, invece, ritengo che il G.U.P. del Tribunale
dell'Aquila debba sollevare un conflitto di attribuzione nei confronti
del Ministro di Giustizia, ex art. 134, comma 2° Cost., e 37 L.
11.3.1953 n. 87, sussistendone tutti i requisiti oggettivi e soggettivi.
Infatti, il diniego di rimozione dei crocifissi -sempreché ritenuto dal
Giudicante illegittimo- impedirebbe sine die la celebrazione del
processo, in tal modo "menomando il GUP del Tribunale dell'Aquila della
pienezza della funzione giurisdizionale attribuitagli dalla
Costituzione". Si realizzerebbe, cioè, un'ipotesi del tutto analoga a
quella dell' illegittimo rifiuto delle Camere di fornire all'Autorità
giudiziaria documenti necessari ai fini probatori o a quella dell'
illegittimo rifiuto dell'autorizzazione a procedere contro parlamentari,
casi nei quali la Corte Costituzionale ha ritenuto e ritiene ammissibili
i conflitti di attribuzione.
E sulla "illegittimità" dell'ipotetico rifiuto del Ministro di Giustizia
di rimuovere i crocifissi dalle aule di giustizia non vi dovrebbero
essere, in realtà, soverchi dubbi, dal momento che la Cassazione penale
e lo stesso CSM si sono già pronunciati in tal senso.
Infatti, se è ben vero che l'art. 110 della Costituzione attribuisce al
Ministro di Giustizia la competenza a disciplinare "l'organizzazione e
il funzionamento dei servizi di giustizia" e che, quindi, rientra nella
sua competenza istituzionale la potestà di predeterminare e di fornire
gli "arredamenti" necessari al funzionamento dell'apparato giudiziario,
è altrettanto innegabile che il "crocifisso" non sia un "oggetto di
arredamento" necessario al funzionamento della Giustizia -come ad
esempio un tavolo, una sedia o un computer- bensì un simbolo ideologico,
la cui funzione esclusiva è quella di connotare di "cristianità" le aule
di giustizia e, quindi, l'attività giurisdizionale esercitata dai
Giudici (la valenza simbolica del crocifisso è pari a quella della
bandiera tricolore e del ritratto del Presidente della Repubblica: solo
che questi ultimi rappresentano l'unità nazionale e, dunque, sono
conformi al principio di laicità).
Orbene, se si considera che i Giudici godono della prerogativa
dell'indipendenza (artt. 101, 102 e 104) e dell'imparzialità (art. 111),
è giocoforza ritenere che l'imposizione da parte del Ministro di
Giustizia di un simbolo ideologico "partigiano", qual'è innegabilmente
il crocifisso, leda tutte queste prerogative costituzionali della
Magistratura e, per quel che qui interessa, violi il principio supremo
di laicità e tutti i diritti di rango costituzionale, sopra menzionati,
dell'imputato Luigi Tosti.
Tutto questo è più che sufficiente per decretare la palese
"illegittimità" della circolare del Ministro di Giustizia Rocco n.
2134/1867 del 29.5.1926 e, quindi, la conseguente "menomazione della
pienezza della funzione giurisdizionale del GUP del Tribunale
dell'Aquila".
L'art. 37 L. n. 87/1953, infatti, sancisce che "Il conflitto tra poteri
dello Stato è risolto dalla Corte costituzionale se insorge tra organi
competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui
appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni
determinata per i vari poteri da norme costituzionali".
Nel caso di specie ricorre, innanzitutto, il requisito soggettivo, in
quanto il GUP del Tribunale dell'Aquila gode di assoluta indipendenza ed
autonomia nell'ambito del più vasto "potere giurisdizionale" cui
appartiene (si richiama Corte Cost., ord. 22/1975: "i singoli organi
giurisdizionali, esplicando le loro funzioni in situazioni di piena
indipendenza, costituzionalmente garantita, sono da considerare
legittimati -attivamente e passivamente- prescindendo dalla
proponibilità di gravami predisposti a tutela di interessi diversi").
Non sussiste, poi, l'ipotesi che "altro organo, all'interno del potere
giurisdizionale, sia abilitato ad intervenire -d'ufficio o dietro
sollecitazione del potere controinteressato-rimuovendo o provocando la
rimozione dell'atto o del comportamento che si assumono lesivi" (Corte
Cost., ord. 228/75).
Dal punto di vista oggettivo, poi, il conflitto di attribuzione che
caldeggio concerne sicuramente un atto amministrativo di natura
regolamentare (circolare Min. Giust. n. 2134/1867 del 29.5.1926 o,
comunque, un comportamento di "rifiuto" di rimozione dei crocifissi da
tutte le aule giudiziarie italiane).
Infine, la violazione della sfera di attribuzione del GUP del Tribunale
dell'Aquila trova il suo fondamento negli artt. 101 e 102 della
Costituzione, perché il diniego di rimozione generalizzata dei
crocifissi dalle aule giudiziarie da parte del Ministro di Giustizia,
implicando la violazione del diritto costituzionale dell'imputato
all'equo processo da parte di un giudice imparziale (art. 111), del
diritto costituzionale all'eguaglianza (art. 3) e del diritto
costituzionale alla libertà religiosa (art. 19), determina
l'impossibilità di celebrare un valido processo penale a carico di Luigi
Tosti e, quindi, provoca una illegittima menomazione della pienezza
della funzione giurisdizionale spettante al GUP del Tribunale
dell'Aquila.
Si ribadisce che queste mie motivazioni risultano confortate dal
Consiglio Superiore della Magistratura che nel recentissimo
provvedimento depositato il 23.11.2006 ha affermato che la mia pretesa
(come giudice) di ottenere la rimozione dei crocifissi dalle aule
giudiziarie è pienamente fondata, dal momento che la circolare fascista
del Ministro Rocco deve ritenersi tacitamente abrogata (sin dal 1948)
per incompatibilità con la Costituzione repubblicana, innanzitutto
perché si tratta di "un atto amministrativo privo di fondamento
normativo e, quindi, contrastante con il principio di legalità
dell'azione amministrativa, desumibile dagli articoli 97 e 113 della
Costituzione, dal quale deriva che ogni atto amministrativo deve essere
espressione di un potere riconosciuto all'Amministrazione da una norma",
tant'è, soggiunge il CSM, che per poter esporre i simboli nazionali
negli uffici pubblici il legislatore ha dovuto emanare ben due leggi. In
secondo luogo, poi, il CSM riconosce che la circolare fascista "appare
in contrasto con il principio costituzionale di laicità dello Stato e
con la garanzia della libertà di coscienza e di religione, essendo
pacifico (in tal senso Cassazione, Sezione Unite, 18.11.1997, n. 11432 e
Sez. Disciplinare 15.9.2004, Sansa) che nessun provvedimento
amministrativo può limitare diritti fondamentali di libertà, al di fuori
degli spazi eventualmente consentiti da una legge ordinaria conforme a
costituzione. Ne consegue, da un lato, che in materia religiosa lo Stato
deve essere equidistante, imparziale e neutrale e, dall'altro, che
l'ordine delle questioni religiose e quello delle questioni civili
debbono rimanere separati, con la conseguenza che in nessun caso il
compimento di atti appartenenti alla sfera della religione possa essere
oggetto di prescrizioni obbligatorie o che si ricorra ad obbligazioni di
ordine religioso per rafforzare l'efficacia di precetti statali: la
religione e gli obblighi morali che ne derivano non possono essere
imposti come mezzo al fine dello Stato. La libertà di coscienza
(espressamente riconosciuta anche dall'art. 9 della Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e
dall'art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea) e
la libertà di religione debbono essere lette come affermazione non solo
positiva, di tutela delle convinzioni o della fede professata, ma anche
in senso negativo, come tutela di chi rifiuti di avere una fede e,
pertanto, deve essere garantita sia ai credenti che ai non credenti,
siano essi atei o agnostici. Dal carattere "fondante" della libertà di
coscienza deriva anche che nelle valutazioni costituzionali relative ai
profili dell'eguaglianza in materia religiosa il dato quantitativo,
l'adesione più o meno diffusa a questa o a quella confessione, non può
essere rilevante. Alla luce dei rilievi ora svolti appare convincente la
tesi dell'incolpato secondo la quale l'esposizione del crocifisso nelle
aule di giustizia, in funzione solenne di "ammonimento di verità e
giustizia", costituisce un'utilizzazione di un simbolo religioso come
mezzo per il perseguimento di finalità dello Stato. Del pari persuasiva
sembra l'affermazione che l'indicazione di un fondamento religioso dei
doveri di verità e giustizia, ai quali i cittadini sono tenuti, può
provocare nei non credenti "turbamenti, casi di coscienza, conflitti di
lealtà tra doveri del cittadino e fedeltà alle proprie convinzioni" e
pertanto può ledere la libertà di coscienza e di religione."
Il CSM ha anche "bocciato" le sentenze del TAR del Veneto e del
Consiglio di Stato che hanno legittimato l'esposizione dei crocifissi
nelle scuole per la loro supposta valenza "culturale": "anche a poter
condividere la tesi del significato meramente culturale del crocifisso
-chiarisce il CSM- il problema della libertà di coscienza e del
pluralismo si sposterebbe dal terreno esclusivamente religioso a quello
appunto culturale, ma non sarebbe risolto, in quanto dai principi
costituzionali in precedenza individuati deriva che l'amministrazione
pubblica non può scegliere di privilegiare un aspetto della tradizione e
della cultura nazionale, sia pure largamente maggioritaria, a discapito
di altri minoritari, in contrasto con il progetto costituzionale di una
società "in cui hanno da convivere fedi, culture e tradizioni diverse"
(Corte Cost., n. 440 del 1995)".
In buona sostanza, dunque, lo stesso CSM ha ammesso che l'esposizione
dei soli crocifissi nelle aule giudiziarie e, in genere, nei pubblici
uffici, calpesta il principio supremo di laicità delineato dalla
Costituzione italiana e, quindi, l'obbligo costituzionale dei giudici di
essere imparziali, neutrali ed equidistanti; calpesta anche il
corrispondente diritto dei cittadini -garantito sia dalla Costituzione
che dalla Convenzione sui diritti dell'Uomo- di essere giudicati da
giudici imparziali; calpesta i diritti fondamentali e costituzionali
alla libertà di coscienza e di religione, che appartengono a me e a
qualsiasi cittadino e, infine, calpestano il diritto costituzionale e
fondamentale all'eguaglianza, senza distinzione di religione, dei
cittadini non cattolici, atei o agnostici.
Segnalo al GUP che con ordinanza n. 41.571 del 18.11.2005 la III^
Sezione penale della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile
l'istanza di rimessione presentata dall'imputato Adel Smith per
motivazioni analoghe a quelle sopra esposte. La Cassazione ha
giustamente affermato l'erroneità del ricorso alla legittima suspicione,
dal momento che i crocifissi sono esposti, in virtù della circolare
fascista, in tutti gli uffici giudiziari italiani, e non soltanto nel
Tribunale di Verona.
Tuttavia, nel dichiarare inammissibile il ricorso, la Corte di
Cassazione ha fatto due importantissime affermazioni che, peraltro, sono
state evidenziate già dai primi commentatori:
1) la prima è che la rimozione dei crocifissi dalle aule giudiziarie -e
cioè il ripristino dell'osservanza del principio di laicità caldeggiato
dall'imputato Smith- può essere disposta solo dal Ministro di Giustizia,
in quanto "è da escludere che un giudice, di qualsivoglia ordine e
grado, possa disapplicare la circolare ministeriale Rocco";
2) la seconda affermazione è che, comunque, l'imputato Smith "ha
sollevato una questione importante".
La Corte di Cassazione, dunque, ha ammesso in modo esplicito che
l'osservanza del principio di laicità -durante la celebrazione dei
processi- incida sull'obbligo di imparzialità del giudice sancito
dall'art. 111 della Costituzione, affermando però che tale problematica
può essere risolta solo attraverso la fattiva collaborazione del
Ministro di Giustizia, dal momento che "il compito di disapplicare una
circolare amministrativa, che attiene a una materia qual'è quella della
manutenzione degli uffici giudiziari e dei loro arredi, è assolutamente
estranea alle attribuzioni giurisdizionali della magistratura": il che
conforta la necessità di ricorrere al conflitto di attribuzione per
risolvere questo problema "importante".
P. Q. M.
Chiedo che il G.U.P., preso atto della volontà dell'imputato Tosti Luigi
di non presenziare all'udienza preliminare sino a che non verranno
rimossi tutti i crocifissi da tutte le aule italiane, voglia attivarsi
presso il Ministro di Giustizia con esplicita richiesta in tal senso e,
in caso di esito negativo, voglia sollevare conflitto di attribuzione
dinanzi alla Corte Costituzionale ex artt. 134 Cost. e 37 L. 11.3.1953
n. 87, affinché si dichiari che il rifiuto di rimozione dei crocifissi
determina una illegittima menomazione della pienezza delle funzioni
giurisdizionali spettantigli ex artt.101 e 102 Costituzione.
Rappresento che analogo conflitto ho sollevato come Giudice monocratico
del Tribunale di Camerino e che la Corte Costituzionale, con ordinanza
n. 127/2006 lo ha dichiarato inammissibile perché il giudice remittente,
che per sua stessa ammissione si era astenuto dalle funzioni
giurisdizionali dal 9.5.2005, "non era attualmente investito di un
processo, in relazione al quale soltanto i giudici si configurano come
organi competenti a dichiarare la volontà del potere cui appartengono",
non ravvisando peraltro, nella complessiva prospettazione del ricorso,
una "menomazione delle attribuzioni costituzionalmente garantite agli
appartenenti all'ordine giudiziario", bensì un "disagio di un lavoratore
dipendente del Ministero di Giustizia" (la Corte non ha evidentemente
inteso i termini del "disagio", dal momento che quello da me espresso
era lo stesso identico "disagio" che aveva portato Cesare Ruperto,
Presidente cattolico della Corte Corte Costituzionale, a rimuovere il
crocifisso dall'aula di udienze della Consulta).
Queste considerazioni della Consulta non valgono, però, nel caso di
specie: il G.U.P. del Tribunale dell'Aquila, infatti, è nel pieno delle
sue funzioni giurisdizionali e, per altro verso, il conflitto di
attribuzione viene prospettato con riferimento agli artt. 101 e 102
Cost. e riguarda una "menomazione delle attribuzioni giurisdizionali"
che è esattamente identica a quella ritenuta ammissibile dalla Corte
Costituzionale con l'ord. n. 228 del 1975, di cui si riporta la massima:
"Il rifiuto opposto al Tribunale di Torino dalla Commissione d'inchiesta
in ordine alla richiesta di documenti, ritenuti necessari ai fini
probatori, concreta una illegittima menomazione delle pienezza della
funzione istituzionalmente spettante al potere giurisdizionale ex artt.
101 e 102, esplicata dal Tribunale medesimo, per la limitazione che ne
risulterebbe all'accertamento dei fatti ed alle conseguenti valutazioni
di sua competenza".
Il che, parafrasando la massima e trasponendola al caso di specie,
significa necessariamente che "il rifiuto opposto al GUP del Tribunale
dell'Aquila dal Ministro di Giustizia in ordine alla richiesta di
rimozione dei crocifissi, ritenuta necessaria ai fini del rispetto dei
diritti costituzionali dell'imputato all'equo processo, all'eguaglianza
ed alla libertà religiosa, concreta una illegittima menomazione delle
pienezza della funzione istituzionalmente spettante al potere
giurisdizionale ex artt. 101 e 102, esplicata dal Tribunale medesimo,
per la limitazione che ne risulterebbe alla possibilità di celebrare un
valido processo a carico dell'imputato, legittimamente assente o
contumace a causa dell'esposizione obbligatoria dei crocifissi nelle
aule giudiziarie".
In via gradata, per l’ipotesi che il Giudice, nonostante la contumacia o
l’allontanamento dell’imputato, intenda procedere alla celebrazione del
presente processo “in sua assenza”, ritenendo cioè che tale
allontanamento non costituisca un “giustificato motivo” ex art. 420 ter
C.P.P. per rinviare o sospendere il giudizio, si solleva eccezione di
incostituzionalità, per violazione degli artt. 2, 3, 7, 8, 19, 20 e 21
della Costituzione, degli articoli 420 ter, quater e quinquies del
codice di procedura penale nella parte in cui consentono al giudice di
procedere in contumacia o in assenza dell'imputato che, per libertà di
coscienza legate alla presenza in aula del crocifisso, si sia rifiutato
di comparire o presenziare al processo.
Copia della presente verrà inoltrata con separata missiva al Ministro di
Giustizia ed al Sostituto Procuratore Generale della Repubblica presso
la Corte di Cassazione dott. Vittorio Martusciello.
Allego:
1°) Atto di appello;
2°) lettera 7.8.2005;
3°) interpellanza n. 130/2006 dell'On.le Turco Maurizio;
4°) ordinanza CSM n. 12 del 31.1.2006, depositata il 23.11.2006;
5°) lettera del 5.9.2006.
Rimini, 31 dicembre 2006
Luigi Tosti
Fonte:
http://nochiesa.blogspot.com
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