Ahi Costantin!
Di quanti mali fu madre!
di EUGENIO SCALFARI
da:
Repubblica.it
Tra le tante questioni che affliggono il nostro paese,
insolute da molti anni e alcune risalenti addirittura alla fondazione dello
Stato unitario, c'è anche quella cattolica. Probabilmente la più difficile
da risolvere.
Personalmente penso anzi che resterà per lungo tempo aperta, almeno per
l'arco di anni che riguardano le tre o quattro generazioni a venire. Roma e
l'Italia sono luoghi di residenza millenaria della Sede apostolica e perciò
si trovano in una situazione anomala rispetto a tutte le altre democrazie
occidentali. Se guardiamo agli spazi mediatici che la Santa Sede, il Papa,
la Conferenza episcopale hanno nelle televisioni e nei giornali ci rendiamo
conto a prima vista che niente di simile accade in Francia, in Germania, in
Gran Bretagna, in Olanda, in Scandinavia e neppure nelle cattolicissime
Spagna e Portogallo per non parlare degli Usa, del Canada e dell'America
Latina dove pure la popolazione cattolica ha raggiunto il livello di
maggiore densità.
Da noi le reti ammiraglie di Rai e di Mediaset trasmettono sistematicamente
ogni intervento del Papa e dei Vescovi. L'"Angelus" è un appuntamento fisso.
Le iniziative e le dichiarazioni dei cattolici politicamente impegnati
ingombrano i giornali, il presidente della Repubblica, appena nominato,
sente il bisogno di inviare un messaggio di "presentazione" al Pontefice,
cui segue a breve distanza la visita ufficiale.
Tutto ciò va evidentemente al di là d'una normale regola di rispetto e
dipende dal fatto che in Italia il Vaticano è una potenza politica oltre che
religiosa. Ciò spiega anche la dimensione dei finanziamenti e dei privilegi
fiscali dei quali gode il Vaticano, la Santa Sede e gli enti ecclesiastici;
anche questi senza riscontro alcuno negli altri paesi.
Infine il rapporto di magistero che la gerarchia ecclesiastica esercita
sulle istituzioni ovunque vi sia una rappresentanza di cattolici militanti e
la funzione di guida politica che di fatto orienta i partiti di ispirazione
cattolica e quindi cospicui settori del Parlamento.
La questione cattolica è dunque quella che spiega più d'ogni altra la
diversità italiana. Spiega perché noi non saremo mai un "paese normale".
Perché una parte rilevante dell'opinione pubblica, della classe politica,
dei mezzi di comunicazione, delle stesse istituzioni rappresentative, sono
etero-diretti, fanno capo cioè e sono profondamente influenzati da un potere
"altro". Quello è il vero potere forte che perdura anche in tempi in cui la
secolarizzazione dei costumi ha ridotto i cattolici praticanti ad una
minoranza.
"Ahi Costantin, di quanto mal fu madre...".
La questione cattolica ha attraversato varie fasi che non è questa la sede
per ripercorrere. Basti dire che si sono alternate fasi di latenza durante
le quali sembrava sopita, e di vivace ed aspra riacutizzazione.
Il mezzo secolo della Prima Repubblica, politicamente dominato dalla
Democrazia cristiana, fu paradossalmente una fase di latenza. La maggioranza
era etero-diretta dal Vaticano e dagli Stati Uniti, il Pci era etero-diretto
dall'Unione Sovietica. Entrambi i protagonisti accettavano questo stato di
cose, insultandosi sulle piazze e dai pulpiti, ma assicurando, ciascuno per
la sua parte, un sostanziale equilibrio. Quando qualcuno sgarrava, veniva
prontamente corretto.
Ma la fase attuale non è affatto tranquilla, la questione cattolica si è
riacutizzata per varie ragioni, la prima delle quali è l'emergere sulla
scena politica dei temi bioetici con tutto ciò che comportano.
La seconda ragione deriva dalla linea assunta da Benedetto XVI che ritiene
di spingere il più avanti possibile le forme di protettorato
politico-religioso che il Vaticano esercita in Italia, per farne la base di
una "reconquista" in altri paesi a cominciare dalla Spagna, dal Portogallo,
dalla Baviera, dall'Austria e da alcuni paesi cattolici dell'America
meridionale. Le capacità finanziarie dell'episcopato italiano forniscono
munizioni non trascurabili per sostenere questo disegno che ha come
obiettivo l'esportazione del modello italiano laddove ne esistano le
condizioni di partenza.
A fronte di quest'offensiva le "difese laiche" appaiono deboli e soprattutto
scoordinate. Si va da forme d'intransigenza che sfiorano l'anticlericalismo
ad aperture dialoganti ma a volte eccessivamente permissive verso i diritti
accampati dalla "gerarchia". Infine permane il sostanziale disinteresse
della sinistra radicale, che conserva verso il laicismo l'antica diffidenza
di togliattiana memoria.
Si direbbe che il solo dato positivo, dal punto di vista laico, sia una più
acuta sensibilità autonomistica che ha conquistato una parte dei cattolici
impegnati nel centrosinistra. Ma si tratta di autonomia a corrente
variabile, oggi rimesso in discussione dalla nascita del Partito democratico
e dai vari posizionamenti che essa comporta per i cattolici che ne fanno
parte. Con un'avvertenza di non trascurabile peso: secondo recenti sondaggi
nell'ultimo decennio i cattolici schierati nel centrosinistra sarebbero
discesi dal 42 al 26 per cento. Fenomeno spiegabile poiché gran parte
dell'elettorato ex Dc si trasferì fin dal 1994 su Forza Italia; ma che
certamente negli ultimi tempi ha accelerato la sua tendenza.
* * *
Un fenomeno degno di interesse è quello del recente associazionismo delle
famiglie. Non nuovo, ma fortemente rilanciato e unificato dal "forum" che
scelse come organizzatore politico e portavoce Savino Pezzotta, da poco
reduce dalla lunga leadership della Cisl e riportato alla ribalta nazionale
dal "Family Day" che promosse qualche mese fa in piazza San Giovanni il
raduno delle famiglie cattoliche.
Da allora Pezzotta sta lavorando per trasformare il "forum" in un movimento
politico. "Non un partito" ha precisato in una recente intervista "ma un
quasi-partito; insomma un movimento autonomo che potrà eventualmente
appoggiare qualche partito di ispirazione cristiana che si batta per
realizzare gli obiettivi delle famiglie. Sia nei valori che sono ad esse
intrinseci sia per i concreti sostegni necessari a realizzare quei valori".
L'obiettivo è ambizioso e fa gola ai partiti di impronta cattolica, ma
Pezzotta amministra con molta prudenza la sigla di cui è diventato titolare.
Dico sigla perché al momento non sappiamo quale sia la sua realtà
organizzativa e la sua effettiva spendibilità politica.
Sembra difficile che il nascituro movimento delle famiglie possa praticare
una sorta di collateralismo rispetto ai settori cattolici militanti nel
Partito democratico: la piazza di San Giovanni non sembrava molto
riformista, le voci che l'hanno interpretata battevano soprattutto su
rivendicazioni economiche ma non basterà riconoscergliele per acquistarne il
consenso e il voto. A torto o a ragione le famiglie e le sigle che le
rappresentano ritengono che quanto chiedono sia loro dovuto. Il voto
elettorale è un'altra cosa e non sarà Pezzotta a guidarlo. Ancor meno i vari
Bindi, Binetti, Bobba nelle loro differenze. Voteranno come a loro piacerà,
seguendo altre motivazioni e inclinazioni, influenzate soprattutto dai
luoghi in cui vivono e dai ceti sociali e professionali ai quali
appartengono.
* * *
Un elemento decisivo della questione cattolica e dell'anomalia che essa
rappresenta è costituito dalla dimensione degli interessi economici della
Santa Sede e degli enti ecclesiastici, del loro "status" giuridico e
addirittura costituzionale (il Trattato del Laterano è stato recepito in
blocco con l'articolo 7 della nostra Costituzione) e dei privilegi fiscali,
sovvenzioni, immunità che fanno nel loro insieme un sistema di fatto
inattaccabile. Basti pensare che la Santa Sede rappresenta il vertice di
un'organizzazione religiosa mondiale e fruisce ovviamente d'un insediamento
altrettanto mondiale attraverso la presenza dei Vescovi, delle parrocchie,
degli Ordini religiosi, delle Missioni. Ma, intrecciata ad essa c'è uno
Stato - sia pure in miniatura - che gode d'un tipo di immunità e di poteri
propri di uno Stato e quindi di una soggettività diplomatica gestita
attraverso i "nunzi" regolarmente accreditati presso tutti gli altri Stati e
presso le organizzazioni internazionali.
Questa doppia elica non esiste in nessun'altra delle Chiese cristiane ed è
la conseguenza della struttura piramidale di quella cattolica e della base
territoriale da cui trasse origine lo Stato vaticano e il potere temporale
dei Papi. Non scomoderemo Machiavelli e Guicciardini, Paolo Sarpi e Pietro
Giannone per ricordare quali problemi ha sempre creato il potere temporale
nella storia della nazione italiana, nell'impossibilità di realizzare
l'unità nazionale quando gli altri paesi europei avevano già da secoli
raggiunto la loro ed infine lo scarso senso dello Stato che gli italiani
hanno avuto da sempre e continuano abbondantemente a dimostrare. Sarebbe
storicamente scorretto attribuire unicamente al potere temporale dei Papi
questo deficit di maturità civile degli italiani, ma certo esso ne
costituisce uno dei principali elementi.
Purtroppo il temporalismo è una tentazione sempre risorgente all'interno
della Chiesa; sotto forme diverse assistiamo oggi ad un tentativo di
resuscitarlo che si esprime attraverso la presenza politica diretta
dell'episcopato nelle materie "sensibili" il cui ventaglio si sta
progressivamente ampliando.
Negli scorsi giorni l'atmosfera si è ulteriormente riscaldata a causa di una
frase di Prodi che esortava i sacerdoti a sostenere la campagna del governo
contro le evasioni fiscali e lamentava lo scarso contributo della Chiesa ad
un tema così rilevante.
Credo che Prodi, da buon cattolico, abbia pronunciato quella frase in
perfetta buonafede ma, mi permetto di dire, con una dose di sprovveduta
ingenuità. Lo Stato non rappresenta un tema importante per i sacerdoti e per
la Chiesa. Ancorché i preti e i Vescovi siano cittadini italiani a tutti gli
effetti e con tutti i diritti e i doveri dei cittadini italiani, essi
sentono di far parte di quel sistema politico-religioso che a causa della
sua struttura è totalizzante. La cittadinanza diventa così un fatto
marginale e puramente anagrafico; salvo eccezioni individuali, il clero si
sente e di fatto risulta una comunità extraterritoriale. Pensare che una
delle preoccupazioni di una siffatta comunità sia quella di esortare gli
italiani a pagare le tasse è un pensiero peregrino. Li esorta - questo sì -
a mettere la barra nella casella che destina l'otto per mille del reddito
alla Chiesa. Un miliardo di euro ha fruttato all'episcopato italiano quell'otto
per mille nel 2006. Ma esso, come sappiamo, è solo una parte del sostegno
dello Stato alla gerarchia, alle diocesi, alle scuole, alle opere di
assistenza.
* * *
Come si vede la pressione cattolica sullo Stato "laico" italiano è
crescente, si vale di molti mezzi, si manifesta in una pluralità di modi
assai difficili da controllare e da arginare.
Le difese laiche - si è già detto - sono deboli e poco efficaci: affidate a
posizioni individuali o di gruppi minoritari ed elitari contro i quali si
ergono "lobbies" agguerrite e perfettamente coordinate da una strategia
pensata altrove e capillarmente ramificata.
Quanto al grosso dell'opinione pubblica, essa è sostanzialmente
indifferente. La questione cattolica non fa parte delle sue priorità. La
gente ne ha altre, di priorità. È genericamente religiosa per tradizione
battesimale; la grande maggioranza non pratica o pratica distrattamente; i
precetti morali della predicazione vengono seguiti se non entrano in
conflitto con i propri interessi e con la propria "felicità". In quel caso
vengono deposti senza traumi particolari.
Perciò sperare che la democrazia possa diventare l'"habitus" degli italiani
è arduo. Gli italiani non sono cristiani, sono cattolici anche se
irreligiosi. Questo fa la differenza.
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